Mi capita spesso di ricevere queste domande dai miei pazienti: Perché provo ansia?
Cosa devo fare per non provare più angoscia?
Come posso liberarmi dal mio malessere?
Per questo motivo mi è sembrato utile scriverci un articolo.
Le risposte che arrivano dall’infanzia
La risposta a queste domande molto spesso risiede nell’infanzia che abbiamo vissuto.
Se infatti durante l’infanzia non sono stati soddisfatti bisogni fondamentali quali:
- sostegno emotivo
- sicurezza
- vicinanza
- accettazione
le conseguenze sono l’insorgere in età adulta di sintomi ansiosi.
Diverse sono le condizioni in età precoce che possono contribuire a creare disagio nell’adulto. Oggi ti parlerò di una di queste: l’accudimento invertito o genitorializzazione.

Cos’è l’accudimento invertito
Si tratta di una condizione prolungata che il bambino sperimenta per via della presenza in famiglia di separazioni, divorzi, malattie o dipendenze; tutte condizioni che possono portare i genitori a essere incapaci di fornire un adeguato accudimento e tutto l’amore di cui il piccolo ha bisogno.
In alcuni casi piombano come fulmini a ciel sereno, senza dare possibilità di organizzare una gestione adeguata che tenga conto di alcune priorità, come i bisogni dei figli.
In altri casi invece sono il frutto del degrado di condizioni non affrontate per tempo, spesso perché ignorate o sminuite.
In qualsiasi caso, sono situazioni molto diffuse, le cui conseguenze nell’arco dello sviluppo, e in età adulta, sono riscontrabili e attribuibili alla comparsa di sintomi ansiosi, rabbia incontrollata, sensazioni persistenti di paura e angoscia, o l’insorgere di manie di controllo.
In altre parole il bambino affronterà la crescita con un’idea, più o meno consapevole, di dovercela fare da solo, e in molti casi arriverà a prendersi cura del genitore stesso, accollandosi una responsabilità non adeguata alla sua età.
Si tratta di forme distorte di relazione che portano un bambino a rinunciare alla propria fanciullezza per badare a se stesso e prestare cura ai genitori, a fratelli minori e faccende di casa.
Ecco alcuni esempi.
Separazioni e divorzi
La fine di un’unione è sempre una decisione sofferta, che coglie impreparati, soprattutto se di mezzo ci sono i figli. È molto complicato riuscire a capire quale possa essere la scelta migliore o l’atteggiamento più consono da tenere.
Nella maggior parte dei casi i conflitti prendono il sopravvento e non si riescono a trovare accordi comuni. I bisogni prevalenti sono quelli individuali, spesso legati a sentimenti di rabbia e rivalsa.
In questo scenario vengono persi di vista i bisogni dei figli che, di fronte alle difficoltà del genitore concentrato sulla propria sofferenza, e non avendo strumenti adeguati, finiscono con il prendersi cura di esso, accettando carichi di responsabilità che non dovrebbero gravare su di loro.
I bambini, ricordiamolo, sono spettatori inermi delle vicissitudini familiari.
Spesso si sentono responsabili della separazione dei genitori, convinti di esserne stata la causa, e si caricano ingiustamente di un peso emotivo molto difficile da sostenere.
Più spesso non hanno l’età e gli strumenti per poter affrontare la situazione ed elaborarla nel modo più opportuno e di conseguenza, se non tutelati adeguatamente, rischiano di essere sovraesposti emotivamente e di subire delle ferite che si porteranno dietro per il resto della vita.
Il modo migliore per affrontare la situazione è mettere al primo posto i bisogni dei figli.
Ma se si nota di essere in difficoltà e di non riuscire a gestire la separazione in modo non conflittuale e tale da risultare un percorso condiviso, può essere importante chiedere il supporto di uno specialista in modo da renderlo il meno doloroso possibile per tutti (in particolare per i bambini).
Malattie e dipendenze
Nel caso in cui un genitore soffra di depressione o sia dipendente da sostanze avremo periodi, anche di lunga durata, in cui il suo bisogno di essere sostenuto andrà a gravare sui figli che si sentiranno in dovere di accudire il genitore in difficoltà o prendersi cura di fratelli minori e degli affari di casa.
Lo sforzo diventa ancora maggiore laddove siano presenti malattie gravi visto che i figli si troveranno di fronte al fatto di dovere accompagnare il proprio genitore verso la morte.
In questi casi è l’adulto a mostrare bisogni infantili e i piccoli chiamati a doversi fare carico di eventuali momenti di rabbia, crisi o ancor peggio atteggiamenti suicidi.
Un peso enorme se si pensa che un bambino non è un adulto, e non può essere trattato come tale.

Quali conseguenze e come porre rimedio?
Se il percorso di sviluppo di un figlio non viene seguito e sostenuto, da adulto si troverà a confrontarsi con sintomi ansiosi che nascondono emozioni più profonde di rabbia o paura, avendone però una percezione non corretta.
In fondo non gli è stato dato modo e tempo di imparare a vivere e convivere con queste emozioni, di comprenderle ed accettarle.
Non è un caso infatti, che spesso la richiesta di psicoterapia parta proprio dal bisogno di gestire sintomi legati all’ansia.
Essi sono la diretta conseguenza di vissuti infantili dolorosi:
- eccessiva responsabilizzazione
- mancato accudimento emotivo
- assenza emotiva del genitore
E spesso si arriva in terapia col bisogno di mettere a tacere i sintomi, come se ci fosse un interruttore da qualche parte, senza ancora avere la consapevolezza del dolore che nascondono dietro.

L’aver fatto un’esperienza di accudimento invertito, oltre a minare le basi di sicurezza emotiva, ha dei riflessi anche sul modo di approcciare il mondo e le relazioni.
La base di bassa autostima sviluppata negli anni contribuirà a indirizzare la scelta verso persone particolarmente bisognose, dando luogo a relazioni fortemente sbilanciate verso il soddisfacimento dei bisogni altrui.
Una modalità per sentirsi riconosciuti e accettati che però porta all’annullamento dei propri bisogni innescando il circolo vizioso della dipendenza affettiva patologica.
Un’esperienza di accudimento invertito fatta durante l’infanzia lascia segni indelebili negli anni a venire, ma è qualcosa a cui si può porre rimedio.
Purtroppo in questo caso, non è opportuno offrire qualche consiglio spicciolo sul “come fare per..”.
Sono dell’idea che se si è vissuto una sofferenza di questo tipo, sia necessario entrare a contatto col dolore prima di fare qualsiasi altro passo.
La psicoterapia, in questo senso, è sicuramente la strada più indicata per entrare in contatto con esso, con le emozioni più nascoste e con i sintomi che proviamo e che condizionano la nostra quotidianità.
Una psicoterapia, infatti, può fornire nuove modalità di approccio alla vita e alle relazioni, passando attraverso l’apprendimento di nuove modalità di vivere le emozioni, anche quelle negative, e il riconoscimento e soddisfacimento di bisogni a cui non si si è potuto o voluto dare ascolto in passato.
Dott. Luca Giulivi
Se ti è piaciuto l’articolo, fammi sapere cosa ne pensi nei commenti e condividilo sui social!
Lascia un commento