Ti è mai capitato di vivere una relazione con un partner freddo, distante, poco avvezzo ad esprimere le emozioni? Se sì, immagino come tu possa sentirti e che non sia affatto facile.
Per questa ragione, voglio raccontarti una cosa importante, che magari ti porterà a fare chiarezza.
A volte, quando si vive una relazione “fredda”, si è portati a fare due cose: colpevolizzare sé stessi, buttandosi addosso tutte le responsabilità di un legame che pare non funzionare, o esternare la colpa e addossarla al partner.
Partendo dal presupposto che i due approcci sono entrambi poco utili al rapporto, quello che invece può aiutare è proprio far chiarezza.
Quando si vive un rapporto freddo, di solito uno dei partner coinvolti potrebbe avere delle difficoltà con le emozioni, ma non sempre si tratta dell’incapacità di provare emozioni, come nel caso dell’anaffettivo (ne ho parlato qui), ma, come accade all’alessitimico, della difficoltà di riuscire ad esprimerle.
È questa la differenza tra un anaffettivo e un alessitimico: il primo fa fatica a sentire emozioni, il secondo le prova, ma non riesce a riconoscerle e di conseguenza ad esprimerle in modo adeguato e consapevole.
Come e perché si diventa alessitimici?
Alessitimia, dal greco a-lexis-thymos, significa mancanza della parola per le emozioni.
Non si tratta però di un semplice problema di espressione, bensì di una profonda incapacità di elaborazione del proprio vissuto emotivo e di traduzione di esso in modo da poterlo comunicare, in primis a sé stessi.
Per fare un esempio, è come se di colpo non fossi più in grado di parlare la nostra lingua, non tanto perché hai dimenticato i singoli vocaboli, bensì perché il cervello non è più capace di elaborare i contenuti dei tuoi discorsi.
Così per l’alessitimico, in gradi diversi di gravità, interpretare ed elaborare il vissuto emotivo è molto difficile. Per questo si parla spesso di analfabetismo emozionale.
Stabilire le cause non è semplice: probabilmente sono un insieme di fattori, innati e ambientali, a determinare la presa di distanza dal mondo emotivo.
Dal punto di vista psicologico, ha una notevole importanza l’età dello sviluppo e le esperienze ad essa legate.
Qualora il bambino fosse cresciuto in un ambiente familiare per cui le sue emozioni non erano gradite, non potevano essere accolte, non venivano ascoltate, oppure non erano gestite con cura, come dovrebbe fare un genitore sufficientemente buono, ecco che quel bambino si convince che le emozioni sono qualcosa da nascondere e così, probabilmente per adattamento, si trova costretto a reprimerle, mettendo in atto un evitamento.
Da adulto, quel bambino probabilmente diventerà una persona alessitimica, ossia poco capace di comprendere il motivo per cui prova emozioni e di conseguenza, incapace anche di comprendere le emozioni altrui.
Per questo, molto probabilmente, opterà per uno stile di vita basato sull’evitamento emotivo, con approcci relazionali molti pratici ed essenziali in cui introspezione, emotività ed empatia non trovano spazio.
Relazioni distanti
Cosa accade all’interno della relazione col proprio partner?
Un alessitimico, a differenza di quanto potrebbe apparire, prova amore, ma non è capace di dimostrarlo. Non solo, un alessitimico fa fatica anche ad esprimere la sua felicità, la sua tristezza, o la sua rabbia.
Tutto questo, chiaramente, genera molta sofferenza nell’altro partner, perché la relazione, invece di essere il luogo dello scambio affettivo, del confronto onesto e aperto, della coccola nel momento del bisogno, spesso diventa terreno di incomprensioni e di dolore per il partner che subisce questa distanza emotiva.
Il legame con un alessitimico, infatti, non è affatto semplice, perché il partner viene logorato dalla difficoltà di essere all’oscuro delle emozioni dell’altro.
Ovviamente, le difficoltà non sono solo in chi subisce questa distanza emotiva, ma anche in chi la vive sulla propria pelle.
Mi spiego meglio.
Se non riesci ad elaborare le tue emozioni, se le tue difficoltà emotive ti portano a non capire cosa stai provando tu, come puoi comprendere quello che prova il tuo partner e, di conseguenza, come puoi provare empatia?
Così, nella relazione di coppia, l’alessitimico si trova spesso a fare i conti con una grandissima difficoltà: comprendere le emozioni dell’altro, decifrarle, sentirle profondamente.
In questo modo, qualsiasi stato d’animo del partner, essendo incomprensibile, lo porterà a percepire l’altro come una persona emotivamente instabile, problematica e, in certi casi, disturbata.
Cosa puoi fare se sei in una relazione di questo tipo?
Molto spesso in terapia arrivano donne con mariti stanchi, chiusi in sé stessi, che non esprimono, non parlano e la donna, che sicuramente vive un forte un disagio che andrebbe affrontato insieme al marito, mi dice: mio marito è anaffettivo.
Quello che voglio dire con questo esempio è che prima di usare questa parola andrebbe capito se si sta parlando effettivamente di anaffettività, di alessitimia, o magari di mancanza di confidenza col mondo delle emozioni.
Il primo passo quindi è avere chiara la situazione, ossia ricorrere a una diagnosi consultando un professionista qualificato, che sgombri il campo da eventuali dubbi e supposizioni.
Il secondo passo è la richiesta di supporto psicologico, un elemento fondamentale, sia per chi presenta il deficit, sia per chi gli sta a fianco.
A differenza del paziente anaffettivo, infatti, la cui terapia presenta notevoli difficoltà, il paziente alessitimico ha possibilità di riuscita nel cammino verso un’alfabetizzazione emotiva (qui parlo di educazione emotiva).
E per chi vive la relazione con un alessitimico, un supporto può essere utile per rafforzarsi, avere maggiori strumenti per gestire il rapporto e comprendere come affrontare in maniera adeguata il presente.
Spesso mi trovo a confrontarmi con persone che mi fanno una domanda abbastanza esplicita: proseguire nella relazione o cambiare strada?
Difficile dare risposte dogmatiche; in linea generale, mi viene da dire questo. Quando si riesce a costruire una collaborazione interna alla coppia rivolta al miglioramento della situazione, può valere la pena proseguire, ma in tutti gli altri casi in cui manchino questi presupposti, il mio consiglio è di dare priorità ai propri bisogni.
Dott. Luca Giulivi
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Articolo molto esaustivo… Bellissimo grazie