Ti è mai capitato di pensare “ho questo problema, sto male, adesso ne parlo con il mio amico.”? Nulla di strano, facciamo tutti più o meno così, ma ci sono casi in cui l’amico di turno non basta più.
Riconoscere ed ammettere di avere una difficoltà, un disagio o un malessere psicologico è molto difficile e comporta un notevole carico di vergogna, inadeguatezza e paura.
Per di più non è semplice farlo, perché il disagio non è tangibile come una febbre di stagione, un mal di gola o una colica.
Il desiderio che si prova è di tornare la persone di prima, riprendere regolarmente la propria vita e cancellare il fastidio dell’ansia, il dolore di una perdita, il senso di vuoto o gli sbalzi d’umore…
Ma a chi rivolgersi? Cosa fare? Una volta trovato il coraggio di affrontare il problema spesso la scelta ricade su un amico, o su una persona cara, perché in fondo, chi può capire meglio?
Come dicevo, nulla di strano, ma ci sono casi in cui l’amico non basta più e oggi ti parlerò proprio di quando andare dallo psicoterapeuta è la scelta migliore.
Stati d’animo e pregiudizi
La tendenza generale quando si prova un disagio psicologico è di conviverci, e non è una convivenza facile. Si prova vergogna e ci si sente inadeguati per la società odierna. Il timore è di mostrare un lato che non piace e questo porta a nascondere le proprie emozioni con il fine di non apparire deboli.
Nella nostra cultura è molto radicata l’idea che la fragilità sia un problema e che l’insieme di emozioni, pensieri e comportamenti ad essa legati siano da nascondere perché inaccettabili.
Con molta più facilità quindi si prende in considerazione l’aiuto di un amico che con i suoi tranquillo, tutto passa, dai che ce la fai e con le sue pacche sulle spalle è quanto di più sincero e immediato tu possa ricevere.
L’amicizia è una cosa meravigliosa, ma…
Un amico ti è vicino, ti fa sentire benvoluto, dà consigli, ti sprona e incita, ma purtroppo di fronte a un disagio psicologico, nessuna di queste cose risultano risolutive, perché provengono dalla sua sfera personale, dal suo punto di vista e soprattutto sono mosse dal comune buon senso.
L’incoraggiamento ricevuto si traduce in un momentaneo e breve sollievo, ma nulla più di questo.
Per spiegare meglio la differenza che corre tra il parlare con un amico e con uno psicoterapeuta, farò riferimento alla sottile differenza che c’è tra compassione e empatia.
Provare compassione significa prendere parte allo stato d’animo di una persona. Questo infonde un senso di vicinanza, si ha la sensazione di avere qualcuno a fianco.
Provare empatia è come essere dentro lo stato d’animo dell’altro, viverlo, guardare il mondo con i suoi occhi, e questo dona un senso di profonda comprensione.
Tradotto in aspetti pratici, chi prova compassione sente l’urgenza di agire e fornire sostegno, consigli e soluzioni in modo da poter arginare il problema, contenere gli stati d’animo o dare nuovo slancio. Un amico è principalmente mosso da questo, e la sua preziosa presenza può essere realmente utile quando abbiamo bisogno di queste cose.
L’empatia invece non contempla risposte, consigli, soluzioni, non ha urgenze, anzi è più una connessione, un contatto profondo e sincero dal quale poter trarre, con tempi adeguati, riflessioni, risposte e indicazioni. Proprio come succede in un percorso di psicoterapia.
Quando rivolgersi a uno psicoterapeuta è meglio che parlare con un amico?
Decidere di parlare con un amico, o una persona cara, può essere molto utile. Aiuta e non sentirsi soli. Ma è un’idea che ha dei limiti e, nei casi in cui il disagio ha certe caratteristiche, non è detto che sia adatta.
Ci sono casi in cui puoi anche decidere di confidarti col tuo amico, ma poi è bene pensare di chiedere un sostegno più specifico. A mio avviso, il sostegno diventa opportuno se:
- il disagio interferisce o va a invalidare la quotidianità sul lavoro, nel tempo libero, negli affetti
- si protrae nel tempo e si ha la sensazione di non riuscire sempre più a gestirlo
- si evitano situazioni o luoghi in modo da non doversi esporre e provare disagio
- insorgono sintomi ansiosi o psicosomatici.
In questi casi il segnale è chiaro: è il momento di non perdere tempo e di rivolgerti a uno specialista.
Se il tuo amico è una persona saggia, dopo averti amorevolmente ascoltato, probabilmente sarà il primo a consigliarti di fare il passo.
Magari accompagnerà l’incitamento con la sua proverbiale pacca sulla spalla: “io ci sono stato, mi ha aiutato molto”, “non ti devi vergognare, stai attraversando un momento difficile e chiedere aiuto è un gesto importante, non avere paura!”
Ed è così, a mio avviso, che gli amici compiono il loro destino, perché come è giusto che sia, se hai male ad un dente, non vai dall’amico per risolvere il problema, ma dal tuo dentista! 😉
Dott. Luca Giulivi
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